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Dalle mura messapiche alle piramidi per inseguire un sogno

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Elia al cairo opera houseServe coraggio per seguire i sogni anche a costo di dover lasciare la propria famiglia, gli amici e addirittura nazione in cerca di quelle opportunità che il nostro Paese non è in grado di dare. Ed è così che Elia Mastrovito, ventitreenne manduriano, ha deciso di lasciare Manduria per trasferirsi in Egitto, al Cairo, per realizzare un sogno: suonare nell’orchestra dell’Opera. Una scelta definitiva la sua per una passione che decide di raccontare ai lettori della Voce di Manduria.

Partiamo dall’inizio: come sei arrivato sin lì?

«Dopo aver superato con successo un concorso in Germania sono stato assunto a tempo indeterminato come primo fagotto nell’orchestra dell’opera della capitale egiziana. Il mio percorso musicale è iniziato a 11 anni intraprendendo a quell’età lo studio del fagotto. Diplomato con il massimo dei voti e la lode all’istituto superiore di studi musicali “Paisiello” di Taranto, mi sono perfezionato con il primo fagotto dell’orchestra dell’accademia nazionale di Santa Cecilia, Francesco Bassone».

E poi? Sempre più lontano da Manduria, dalla Puglia, dall’Italia?

«Infatti. Ho poi vinto numerosi concorsi nazionali, ho partecipato a tournèe anche all’estero e collaborato con diverse società di concerti suonando sotto la bacchetta di direttori d’orchestra di fama internazionale quali: Antonio Pappano, Lorin Maazel, Nader Abbassi».

Quali sono i tuoi progetti per il futuro?

«In generale voglio cercare di internazionalizzarmi ancor di più. Sono al Cairo grazie ad un concorso in Germania a cui ho partecipato per gioco senza grosse aspettative, ma appunto, in 30 giorni, ho allargato la mia rete di amicizie e contatti in tutto il globo. Per la musica questo é importantissimo, per essere ad un buon livello il bravo musicista deve prima ascoltare, emulare e fare proprie culture e modi diversi di suonare o semplicemente di intendere diversamente una semplice riga sullo spartito».

Per intraprendere la carriera musicale è necessario lasciare l’Italia?

«Abbiamo accademie e conservatori straordinari in Italia. La mia formazione artistica é italiana, ed ho sempre avuto successo all’estero proprio perché quella tricolore é una preparazione molto competitiva. Probabilmente sono stato fortunato a trovare insegnanti molto preparati partendo da Domenico Daggiano col quale ho iniziato gli studi e l’approccio alla musica, Giacomo Maggiolini e Francesco Bossone. Sicuramente non viene fatto abbastanza per la cultura nel nostro paese, le fondazioni liriche e sinfoniche in particolare stanno attraversando un periodo buio, con rischio di chiusure ingiustificate».

Anche per questo hai voluto lasciare il tuo Paese?

«Ho scelto di andare via perché ero semplicemente stufo della mediocrità artistica in cui mi trovavo e dell’impossibilità di accedere a livelli più alti a causa della “crisi”. Potrei tornare anche domani, adoro il mio Paese, e cerco di portare sempre alto il tricolore, ma per ora, sto bene qui. Certo, la libertà però, ha un prezzo molto caro, si é lontani dagli affetti e dai vecchi amici, ma cosa non si fa per la musica!»

Rimproveri qualcosa alla tua città, a Manduria?

«No, non rimprovero niente, dopo anni di studio e tentativi di approccio con la gente ho capito che non si può far nulla, o almeno non é il momento giusto. É come cercare di fare a pugni contro il vento. Un piccolo paese come il nostro, con la sua cultura popolare, tradizioni musicali già ben radicate come quelle della banda, oppure la pizzica e la Taranta. Trovo che sia inutile cercare di radicare a tutti i costi la cultura della musica sinfonica, che é propriamente del centro-Nord Europa. Un tentativo con l’Opera si potrebbe fare, ma tentativi ne sono stati fatti in passato, con esito negativo».

Se pensiamo poi che qui a Manduria non c’è più un teatro, allora ogni prospettiva diventa superflua vero?

«Non ne parliamo. Una città come Manduria senza un teatro dove accogliere una macchina operistica, di che parliamo?»

Chi devi ringraziare per i tuoi traguardi?

«Ringrazio la mia grande famiglia. Senza di lei sarei una nullità. Ringrazio i miei vecchi amici, e i miei nuovi amici che vanno da Taiwan, Giappone, fino al Brasile, passando per L’Egitto. La musica unisce; la considero un bene primario, da proteggere».

Katja Zaccheo

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