MANDURIA – La notte del 18 marzo 1961, a Manduria si verificò un terribile delitto. Una giovane donna si presentò alla caserma dei carabinieri dicendo di avere ucciso sua madre. In effetti i militari che andarono con lei nel luogo indicato, trovarono il corpo senza vita di una donna, G. M., con numerose coltellate al petto. La matricida rea confessa, G.D., disse agli investigatori che lo aveva fatto per difendersi dalla madre che la voleva uccidere. La giovane fu arrestata e processata per omicidio volontario. La Corte D’Assise del Tribunale di Taranto la condannò a 15 anni di carcere con l’attenuante della confessione spontanea del delitto. Con il suo avvocato, l’imputata ricorse in appello che confermò la stessa pena. Nell’estremo tentativo di farsi riconoscere l’attenuante della legittima difesa, respinta dai giudici dei due gradi, la matrici- da ricorse in Cassazione. Dopo cinque anni anche i supremi giudici confermarono la stessa condanna a quindici anni respingendo l’attenuante della legittima difesa. Non si seppe mai il vero movente del delitto.
Sara Piccione
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