Il nostro viaggio alla scoperta degli scienziati manduriani parte dal cartografo Giuseppe Pacelli, nato nella città messapica il 23 settembre del 1764.
Figlio di Pietro Pacelli e Francesca Paola Viglietta, il giovane Giuseppe iniziò a frequentare le lezioni di Fisica e Matematica presso il seminario di Oria. Finì, poi, per appassionarsi alla geografia, grazie derivò, ad alcune carte geografiche che ebbe in dono da un suo professore, Don Gaspare Padatovero. La sua grande ingegnosità per la materia non passò inosservata, tanto che subito dopo il raggiungimento del dottorato, nel 1875, ricoprì il ruolo di lettore di Geografia, cattedra istituita proprio quell’anno dal vescovo della diocesi di Oria, Alessandro Calefati. Il suo primo incarico fu quello di compilare una carta topografica dell’intero territorio della diocesi: era l’“Atlante Oritano”, terminato solo dopo anni e anni nel 1803.
Divenuto canonico e trasferitosi poi ad Otranto, Pacelli si dedicò con tutte le proprie energie alla raccolta dei documenti per la composizione dell’“Atlante Sallentino”, un’opera ancora più vasta e ambiziosa.Tuttavia, nonostante gli sforzi profusi dal Pacelli, quest’opera mastodontica, terminata nel 1807, si rivelò di fatto, un vero e proprio fallimento.
In primo luogo, l’Atlante presentava numerose mancanze cartografiche in merito alla poleografia, ovvero lo studio delle città, e alla orografia, l’analisi delle catene montuose. Quel che fu ancora più grave e che rese l’“Atlante Sallentino” poco attendibile, fu la presenza della Mappa della provincia d’Otranto colle sue strade pubbliche. Il Pacelli aveva cercato di delineare nei suoi disegni, le strade che collegavano i centri agricoli, le zone più interne e i porti. Tuttavia nel giro di pochissimi anni, vi fu un’elaborazione moto più dettagliata della rete viaria presente, tanto da segnare poi la svolta urbanistica della cartografia stessa.
L’opera per cui il cartografo manduriano aveva speso gran parte della sua vita, dunque, non riuscì più ad essere pubblicata e si perse ben presto a causa della sua scarsa precisione. Il dispiacere e la delusione per questo grave fallimento aggravarono le condizioni di salute dello scienziato manduriano, che morì a Lecce il 2 dicembre del 1811.
Quella di Pacelli è la storia di uno studioso caparbio ma sfortunato. Anche se qualcuno potrebbe dire che non si trattò di sfortuna, ma di poco accuratezza e precisione.
Eppure, la storia della scienza è anche questa. Anzi, è ricchissima di ricercatori e scienziati ingegnosi che hanno però preso strade sbagliate, imboccato vie chiuse, che hanno seguito per anni un percorso, rivelatosi poi deludente o, addirittura, del tutto errato.
E’ quel che poi può capitare anche a noi. Ogni giorno. Perseguire qualcosa che solo alla fine si riconosce come sbagliato.
La scienza, come la vita, ha anche nella stessa idea di errore, superamento e fallimento la sua stessa ragion d’essere.
Valentina Palumbo
V.palumbo@lavocedimanduria.it
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