MANDURIA – L’interrogatorio di Nichi Vendola ieri è durato sei ore. Sette, in tutto, quelle in cui è rimasto negli uffici del comando provinciale della Guardia di Finanza dove era entrato poco dopo le 15, ed è uscito alle 22. Ha negato tutto, punto per punto, supportato dal suo legale che si è presentato preparatissimo sull’argomento. Su molte circostanze ha detto di non ricordare le persone che erano con lui che potrebbero confermare le sue difese. Su un punto è stato molto fermo: «Nessuno come me – ha detto – ha combattuto l’inquinamento e lo strapotere dei Riva». Una difesa efficace e scontata che, dalle primissime indiscrezioni, non avrebbe però modificato i termini dell’accusa. Prima di lasciare l’edificio si è concesso in un breve incontro con i giornalisti. «Mi sento sollevato, finalmente ho potuto dare le spiegazioni che mi erano dovute. Ringrazio la procura per avermi concesso questa possibilità», ha detto il governatore senza rispondere alle domande sui fatti specifici che gli rivolgevano i cronisti. «Permettetemi di non entrare nel merito dell’interrogatorio anche per rispetto dei magistrati», ha detto congedandosi. Un quarto d’ora dopo è uscito anche Giorgio Assennato, direttore di Arpa Puglia, convocato anche lui nella stessa giornata che ha consegnato un lungo memoriale. Il presidente della Regione Puglia, indagato per concussione aggravata in concorso nell’ambito dell’inchiesta per disastro ambientale a carico dell’Ilva, aveva espressamente chiesto ai magistrati di essere ascoltato. Stesso desiderio aveva espresso alla procura jonica il direttore generale dell’Arpa Puglia, Giorgio Assennato accusato invece di favoreggiamento. I due erano accompagnati dai rispettivi avvocati, Vincenzo Muscatiello per Vendola e Emanuela Sborgia per Assennato. Massimo Blonda, l’altro dirigente dell’Arpa indagato per favoreggiamento, ha invece rinunciato ad essere sentito dai magistrati. Sia Assennato sia Blonda (rispettivamente direttore generale e direttore scientifico di Arpa Puglia), devono rispondere di favoreggiamento personale nei confronti dello stesso Vendola. Secondo l’accusa, nel loro primo interrogatorio avrebbero entrambi negato di aver ricevuto pressioni dal governatore per favorire il gruppo industriale sotto inchiesta.
Ad interrogare il governatore, alla presenza degli ufficiali della Guardia di Finanza che si sono occupati del caso, c’erano il procuratore capo Franco Sebastio, il procuratore aggiunto Pietro Argentino, il pubblico ministero Remo Epifani e il sostituto procuratore Giovanna Cannarile. Assennato, invece, è stato sentito, in separata sede, dal pubblico ministero Raffaele Graziano.
In quelle ore Vendola, assistito dal suo legale Muscatiello, ha dovuto rispondere alle domande incrociate del pool di magistrati che si occupano di reati ambientali (del gruppo di incaricati mancava solo il pm Mariano Buccoliero). In particolare il leader di Sel è sospettato di aver cercato di ammorbidire la posizione dell’Arpa Puglia, che nel frattempo valutava la pericolosità delle emissioni del siderurgico, ventilando la non riconferma di Giorgio Assennato ai vertici dell’Agenzia regionale per l’ambiente.
Scontata la sua difesa, più volte anticipata dallo stesso protagonista, che si basa sostanzialmente sul fatto di essere stato proprio lui a volere fortemente la riconferma di Assennato alla guida dell’Arpa nonostante quest’ultimo, con le sue ricerche, continuasse a dare fastidio al gruppo industriale sotto accusa.
Vendola, inoltre, ha dovuto spiegare i suoi rapporti di complicità, emersi dalle intercettazioni telefoniche, con l’indagato numero uno dell’inchiesta, l’ex responsabile delle pubbliche relazioni dell’Ilva, Girolamo Archinà. Una conversazione telefonica, in particolare, quella intercettata a luglio del 2010, metteva particolarmente in imbarazzo Vendola. «Dica che non mi sono defilato», diceva il presidente al pr del gruppo Ilva raccomandandosi di riferirlo al patron Riva.
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